Il “dolce della sposa”: la Faldacchea
È elegante e raffinata e col suo candore è uno dei dolci di pasta di mandorle scelto nelle grandi occasioni, da festeggiare o regalare. Parliamo della Faldacchea, un dolce tipico della pasticceria di Turi, nel sud-est Barese, ma conosciuto in tutto il mondo.
Da tempo immemore si racconta che la sua ricetta sia tramandata di madre in figlia e racchiude i segreti dell’arte culinaria casalinga, quando, in prossimità di feste o di matrimoni, era tipico realizzare questo dolce ricoperto da una glassa bianca di zucchero, oggi spesso sostituita con del cioccolato bianco. Infatti, col passare del tempo è stata ribattezzata in “dolce della sposa”, perché tradizionalmente viene regalato come bomboniera dagli sposi agli invitati alla propria festa nuziale.
La faldacchea è realizzata con un cuore di Pan di Spagna bagnato all’alchermes, un’amarena e un pezzo di cioccolata, coperti da un impasto di mandorle, racchiuso dentro una glassa di cioccolato o di glassa di zucchero. La preparazione, diversamente da altri tipi di dolci di mandorle, è completamente peculiare. La faldacchea, difatti, resta umida e morbida, non secca e dura, perché non è cotta in forno, ma sul fuoco.
La sua storia nasce probabilmente nella cucina della foresteria del soppresso Monastero delle Clarisse di Cassano, dove Il 4 ottobre del 1903 giunsero quattro suore del Sacro Cuore di Gesù.
Qui, spesso si riunivano gli alunni della Scuola Elementare, nonché i più grandi delle Scuole Medie per recite ed incontri formativi, sempre assistite e guidate dalle Religiose.
In questo periodo le Apostole si dedicarono alle famiglie povere e alla conduzione di un laboratorio per giovanette; tra queste trascorse parte della sua giovinezza una turese, che tornando a Turi fu nominata “monacacèdde” (piccola monaca) e insegnò ad altre, l’arte pasticciera che aveva imparato nel convento.
Per il suo aspetto così regale e il suo essere uno scrigno di sapori che si incontrano in un unico boccone, la Faldacchea è anche definita il dolce dei signori. Questa idea di gusto, molto barocca, maturò nei conventi femminili dell’Italia meridionale negli anni sul finire del ‘700. In Puglia se ne contesero il primato le Teresiane di Bari e le Benedettine di Lecce. Rappresenta uno dei dolci diplomatici: quelli che nei conventi le suore preparavano per farne dono, in occasione delle feste, al vescovo, ai prelati.
Il termine è comunque di origine spagnola, poi entrato in uso nel dialetto napoletano. Al tempo degli Spagnoli, nel regno di Napoli nel Seicento, ancor prima di essere reinventata a Lecce come riempimento unito a marmellata e canditi per la pancia del pesce e dell’agnello, la “faldicchera” era solo un piccolo dolce fatto di uova e zucchero ed era già gusto diffuso nei conventi. In Puglia lo preparavano, dicono gli storici, le monache di Grottaglie, le Clarisse di Turi e le Benedettine di Lecce. La ricetta che possediamo è però di un secolo dopo e risale a Vincenzo Corrado, monaco benedettino originario del Salento, cuoco e credenziere di buon gusto nel giro di corte dei Borbone nel ‘700.